Pubblichiamo un articolo del Corriere della Sera di gennaio 2016 relativo allo screening audiologico neonatale, dove sono riportate anche le dichiarazioni in merito di Claudio Mariottini, Presidente di Fiadda Umbria (da www.corriere.it). Solo in 13 regioni è sottoposto a screening audiologico il 93% dei neonati: permette interventi precoci sul deficit uditivo e consente poi di condurre una vita normaledi Ruggiero Corcella Se il buongiorno si vede dal mattino, lo screening audiologico sui neonati avrà ancora vita dura. È infatti ancora una volta sfumata la possibilità di renderlo obbligatorio a livello nazionale. L’esame infatti avrebbe potuto essere inserito nel disegno di legge 998 (Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori) approvato di recente in Commissione sanità del Senato, come pure era stato chiesto in sede di iter parlamentare. Invece il Ddl ha reso obbligatori solo gli esami delle malattie metaboliche ereditarie. Il controllo dell’udito nelle prime settimane di vita era previsto tra le azioni per la promozione e la tutela della salute delle donne e dei bambini fin dal Decreto ministeriale 8 marzo del 2007, ma di fatto ogni regione si è mossa per conto suo. Alcune hanno approvato linee guida e buone pratiche per lo screening, rendendolo, praticamente, in alcuni casi obbligatorio. Altre si sono limitate a raccomandarlo. Nonostante questo, la buona volontà e la tenacia del Gruppo di Ricerca Sordità, attivato nel 2003 al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale di Roma, assieme alla determinazione dei genitori e alla disponibilità degli specialisti (neonatologi, pediatri, otorini e audiologi) ha consentito in dodici anni di costruire una vera e propria rete e di portare avanti lo screening uditivo. «Attraverso sette censimenti nazionali — spiega Luciano Bubbico, referente dell’Osservatorio disabilità del Dipartimento — è stato possibile monitorare la copertura dello screening nel nostro Paese: si è passati da 29,9% di neonati selezionati nel 2003 a un tasso stimato del 93,2% nel 2015 ». Insomma manca davvero un “ultimo miglio” per raggiungere la copertura del 95%, limite internazionale per definire universale uno screening. «Lo screening è fondamentale, ma è solo il punto di partenza. Occorrono anche un percorso abilitativo del bambino e di presa in carico della famiglia nel suo complesso. La scuola, il lavoro, la società sono tutti aspetti che vanno curati. Devono essere perciò inseriti in un piano più ampio». Claudio Mariottini, presidente di Fiadda (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti delle persone Audiolese) Umbria non si scompone di fronte all’ennesimo “treno mancato” dallo screening audiologico e spiega: «Piuttosto che infilare nel Ddl approvato qualcosa di incompleto, preferiamo aspettare un provvedimento mirato». Assieme ad altre associazioni di genitori, tra le quali il Forum «Affrontiamo la sordità insieme» (che conta oltre 6 mila iscritti), Fiadda sta portando avanti la battaglia per lo screening universale obbligatorio in Italia. «Secondo noi — aggiunge Mariottini — è un grave danno che ogni regione sia libera di fare lo screening, di non farlo oppure di farlo in maniera diversificata. Addirittura in alcune regioni, Asl diverse fanno cose diverse. Ottenere una diagnosi, quindi, diventa un colpo di fortuna». La sordità profonda nei neonati produce effetti devastanti sul bambino e sulla famiglia. «Se non viene diagnosticata entro i primi 3-6 mesi di vita — dice Luciano Bubbico, referente dell’Osservatorio disabilità del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale di Roma — , una sordità profonda alla nascita produce un grave ritardo nell’apprendimento del linguaggio e nello sviluppo cognitivo, emotivo affettivo e sociale del bambino». Per non parlare degli altissimi costi sociali e sanitari, che sono stati stimati in oltre 700 mila euro per tutto il corso della vita di una persona colpita da sordità profonda congenita. «In questo panorama, le famiglie cercano di barcamenarsi come possono — sottolinea Mariottini —, perché strumenti ce ne sono pochi. L’assistenza psicologica, ad esempio, è ancora una chimera in gran parte del Paese». Il Veneto è l’ottava regione italiana (dopo Liguria, Toscana, Campania, Marche, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli) a dotarsi di una legge che rende obbligatorio lo screening audiologico. Il 30 dicembre scorso, la giunta regionale ha approvato le Linee guida su modello di rete, la strumentazione, l’accreditamento dei punti nascita, la certificazione degli operatori e i corsi di formazione, il sistema di raccolta dati e le modalità di presa in carico. «Uno dei punti salienti è la strumentazione — spiega il professor Alessandro Martini direttore del reparto di Otochirurgia dell’ospedale di Padova, centro coordinatore della rete —. Si è deciso di usare “palmari” che eseguono gli ABR, cioè i potenziali uditivi evocati invece delle otoemissioni ». Mentre le otoemissioni registrano solo i movimenti delle cellule ciliate esterne dell’orecchio in seguito a uno stimolo sonoro, le ABR rilevano anche le neuropatie uditive e i disturbi di conduzione nervosa. Nuova è anche la raccolta dei dati: sarà possibile registrare gli screening e il percorso diagnostico-terapeutico, integrando il sistema con il Registro delle Malattie rare per la certificazione e la presa in carico dei pazienti. Un innovativo sistema di monitoraggio e di tracciamento con richiami per lettera, telefono e, se necessario, con il coinvolgimento del pediatra di famiglia: lo ha messo a punto il Gruppo di Ricerca Sordità. «Per valutarne il rapporto costo-efficacia sarebbe utile far partire un progetto pilota con la creazione di una rete digitale», dice Luciano Bubbico. Gestita da un Centro nazionale di coordinamento e controllo dei programmi di screening, la rete permetterebbe il monitoraggio centrale dei bambini sottoposti a test, in unico luogo e in un formato standard, cui potere accedere in ogni momento. «Sarà così facilitato il processo di screening, follow up e diagnosi, rendendo più semplice il trattamento per i singoli pazienti, riducendo le dispersioni, i ritardi, l’ansia dei genitori e soprattutto riducendo i costi. Inoltre i dati raccolti saranno utili per attività di ricerca sulla sordità».
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