Mio marito Raymond ed io siamo arrivati a Brazzaville sabato 22/08/15, dopo un viaggio estenuante e il mattino seguente, alle nove circa eravamo già al St. Joseph per conoscere i bambini.
Appena entrati nell’orfanotrofio ho notato subito una ragazzina con uno sguardo dolcissimo, che teneva un piccolino sulla schiena, legato con la stoffa. L’avevo già vista nelle foto che mio marito aveva scattato durante la prima consegna dei materiali donati. Ci osservava molto incuriosita, allora mi sono avvicinata e le ho chiesto il suo nome, ma lei mi ha fatto un gran sorriso e si è nascosta il viso dietro le mani, poi è tornata a guardarmi e di nuovo a nascondere il viso. Una delle donne che si occupano dei bambini mi ha spiegato che la ragazzina si chiama Chanchelvie e non parla a causa di un problema alla bocca, ma in realtà è sorda. Ho riconosciuto subito anche un’altra ragazzina che, nelle foto di Raymond, teneva in braccio una bambina di circa sei mesi. Anche lei dolcissima, ha detto di chiamarsi Mercia e di avere 15 anni. Sono stata informata che anche lei ha problemi di udito, ma a differenza dell’altra è in grado di sentire anche senza apparecchio e parla abbastanza bene. Nessuno ha saputo fornirci informazioni precise su di loro, sappiano soltanto che Chancelvie è stata abbandonata da piccolissima e Mercia mi ha raccontato che si trova all’orfanotrofio perchè sua madre è morta, che ha una nonna che però non può occuparsi di lei perché è poverissima. Nelle visite successive ci siamo resi conto che queste due ragazzine insieme ad altre quattro svolgono un lavoro immenso all’interno dell’orfanotrofio, sono loro che si occupano dei bambini più piccoli con tanto amore e tanta dedizione, li lavano, li cambiano, li imboccano, li assistono quando sono malati, puliscono il loro vomito, li coccolano. Sono la loro famiglia e se questi piccolini ricevono affetto e cure è grazie a loro. Avevamo soltanto tre protesi donateci da Sara e da Clelia e due di queste abbiamo deciso di darle a Chanchelvie e a Mercia, anche se in un primo tempo, avevamo pensato di destinarle all’ Institut des Jeunes Sourds, di cui ci aveva tanto parlato Susanne, cugina di Raymond e insegnante in questa scuola. Purtroppo ne è rimasta soltanto una per loro. Quando siamo tornati a visitare i bambini, abbiamo portato le protesi e le abbiamo mostrate alle ragazzine. Sono state felicissime, Chancelvie si è messa a saltare di gioia e ha fatto un sorriso incantevole e la V con le dita! Prima di poterle installare passano purtroppo tre settimane, perchè la responsabile, che non vede l’importanza di mettere le protesi alle ragazzine, si rende irreperibile, facendoci perdere un sacco di tempo. Riusciamo ad ottenere il permesso di accompagnarle a fare l’esame audiometrico presso l’Institut des Sourds, quando ormai non ci speriamo più!!! Quando finalmente arriva il tanto atteso giorno, Raymond va a prendere Chancelvie e Mercia all’orfanotrofio alle sette del mattino e Susanna ed io li aspettiamo all’Istituto. I bambini non sono presenti perché la scuola è ancora chiusa per le vacanze estive. Mentre aspettiamo, Susanna mi presenta i suoi colleghi. Sono tutti gentili, disponibili, desiderosi di collaborare, è evidente che ci tengono ai bambini. Susanna mi mostra la sua classe e mi parla delle enormi difficoltà che attraversano. Hanno un disperato bisogno di personale professionalmente preparato, di corsi di formazione, di materiale didattico, ma anche di banchi per la scuola, tavoli, sedie, ecc. Effettivamente le aule sono completamente spoglie. Susanna mi prega, anche se abbiamo tanto sofferto per come sono andate le cose e per il fatto che il nostro container, con il suo prezioso carico, sia ancora bloccato al porto di Pointe Noire, di non mollare, di aiutarli. Nonostante Susanne non navighi nell’oro, lei e il marito sono due insegnanti e qui gli insegnanti guadagnano poco, non chiede niente per sè o per la sua famiglia, parla solo dei suoi bimbi sordi, di quelli abbandonati e delle madri di quelli che abitano lontano e che tutta la mattina li aspettano fuori dalla scuola, sotto il sole cocente o sotto la pioggia torrenziale, perché non hanno denaro per i mezzi di trasporto. La giornata non si preannuncia facile, mi sento a pezzi, è come se tutto il dolore accumulato in queste tre terribili settimane volesse esplodere tutto insieme dentro di me. Sono molto tesa anche perché ho paura che la responsabile ci ripensi e non lasci uscire le bambine. Invece Mercia e Chancelvie arrivano. Sembrano un po’ intimorite, ma sono molto carine, ben vestite e ben pettinate. Entrambe le bambine sono passate per un breve periodo in questo Istituto. Le riconosciamo nelle le foto appese alle pareti. Sono di alcuni anni prima e sono state scattate in occasione della visita di un’associazione americana che ha donato gli apparecchi ai bambini. Mercia ci racconta che i suoi glieli ha rotti un bimbo piccolo che aveva in braccio, Chancelvie non sa che fine abbiano fatto i suoi. Cerchiamo di ottenere informazioni sulle ragazzine, di capire chi si occupava di loro quando hanno iniziato a frequentare la scuola e perché hanno smesso, ma il personale è cambiato e soltanto un insegnante si ricorda vagamente di Chancelvie. Ci sediamo in cerchio, Raymond parla a lungo con il direttore delle loro problematiche e di come aiutare queste due bambine. Siamo tutti d’accordo che è indispensabile che le ragazzine tornino a frequentare l’Istituto. Il problema è che l’orfanotrofio è lontano e loro non hanno un posto per farle pernottare. Hanno in mente un progetto, vogliono costruire una piccola struttura per permettere ai bambini che abitano lontano di rimanere per la notte, ma ci vorrà ancora del tempo per realizzarlo. Parliamo dei problemi legati al container e della nostra intenzione se arriverà, di donare gran parte del materiale all’Istituto. Loro ci piacciono davvero tanto a tutti e due! Vedo come si rapportano con le ragazzine, sono in gamba. Noto che Mercia è attentissima quando parlo, le chiedo se è contenta di restare all’orfanotrofio e lei molto diplomaticamente mi risponde, con voce triste: “Pas trop”. Un tecnico specializzato fa l’esame audiometrico alle ragazzine e io scatto alcune foto. Usciamo, c’è un grande spazio fuori. Penso che qui i bimbi del S. Joseph potrebbero stare bene. Avevo aspettato tanto questa occasione per parlare da sola con le bambine, ma adesso che siamo insieme, le parole non mi escono. Sono talmente demoralizzata, che non riesco a trattenere le lacrime! Mi allontano un po’, ho bisogno di stare da sola, ma Mercia mi si avvicina e mi chiede se sono triste. La mia tristezza è la sua. Soffro perché non ho potuto fare niente per loro. Avevo tanti progetti, ma l’atteggiamento della responsabile del St. Joseph ha vanificato tutto. Finalmente le parole escono, ho tante cose da chiedere! Mercia risponde con molta precisione a tutte le mie domande, con voce calma e piena di tristezza. Mi colpisce la sua rassegnazione. Era questo che avevo visto nello sguardo degli altri bambini dell’orfanotrofio. Anche se tanto piccoli, sono perfettamente consapevoli che nessuno possa fare niente per loro. Non sognano più. Mi siedo e lei sta appiccicata a me e gioca con i miei capelli. Chancelvie salta a destra e sinistra come una bimba piccola. In tarda mattinata riaccompagnamo le bambine all’orfanotrofio, le prenderemo il giorno seguente per andare in clinica per installare le protesi. Passo una notte bruttissima con febbre, nausea e dolori addominali fortissimi e il mattino non ce la faccio ad andare con Raimondo e Susanne a prendere le bambine. Mio marito mi riferisce che il medico ha fatto un altro esame audiometrico e ha detto che gli apparecchi sono di ottima qualità e vanno bene per le piccole. Quando Chancevie ha cominciato a sentire i suoni ha iniziato a saltare di gioia! Il giorno seguente accompagnamo di nuovo le bambine in clinica per l’installazione definitiva. Mentre aspettiamo il nostro turno, Mercia mi chiede se può venire in Italia con me. Quando entriamo nell’ambulatorio, Chancelvie si strofina bene bene le mani, per dimostrarci la sua soddisfazione e noi scoppiamo tutti a ridere! Il giorno prima di partire finalmente riesco a parlare con la responsabile e mi faccio promettere che iscriverà le bambine all’Istituto dei Sordi. Per entrambe significherebbe frequentare una scuola e per Chancelvie anche imparare a parlare! Dopo la mia partenza passano ancora due mesi prima che mio marito riesca a riavere il nostro container e come promesso, gran parte del materiale viene donato all’Istituto dei Sordi. La promessa della responsabile del St. Joseph è stata mantenuta e Chancelvie e Mercia frequentano regolarmente la scuola per sordi, è il pulmino dell’Istituto che le va a prendere e le riaccompagna. Le abbiamo sentite pochi giorni fa e Mercia ha detto che pensano continuamente a noi. E noi pensiamo continuamente a loro. E ci sentiamo impotenti, perché vorremmo fare molto, molto di più.
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L’ascoltare.
Monologo. Mi trovo alla stazione del treno. C’è il sole, ma fa abbastanza freddo. Altoparlante in corso. Voce forte. Voce abbastanza metallica. Mi concentro. Esisto solo io e quella voce ignota. Cerco di discriminare le lettere e le parole aiutandomi dal tono di voce. Mannaggia all’omino alle mie spalle che ha schiacciato rumorosamente una bottiglia di plastica vuota per buttarla nel cestino. Ecco adesso non sono sicura se quella voce metallica e ignota ha detto “ritardo” o no. Mi guardo intorno. La situazione sembra abbastanza tranquilla. Nessuna faccia di preoccupazione o di impazienza. Almeno credo. Controllo lo schermo di una tipica televisione di anni 60 fissata in alto su una colonna. La qualità dei pixel è proprio ottima! Sembra che non ci sia nessuna variazione per il mio treno. Controllo due volte. Ma anche tre. Pare che “ritardo” sia stata un allucinazione uditiva. Staremo a vedere. No anzi, aspetto un altro pò poi chiederò a qualcuno. Cinque minuti. Fischio del treno. Ah eccolo è arrivato! Nessun ritardo allora. Salgo. Accessibilità, Autonomia, Fruibilità, Tecnologia moderna, Inclusione. E ho detto tutto. C.G. |
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