Pubblichiamo integralmente dal sito della Presidente della Camera Laura Boldrini l'articolo del nostro Mattia Liguori che segue l'incontro con le istituzioni avvenuto lo scorso 3 dicembre in occasione della Giornata della Disabilità. di Mattia Liguori Chi lo avrebbe mai detto che la politica avrebbe aperto le sue porte a noi ragazzi disabili? Ed invece quello che per tanti di noi poteva sembrare solo un sogno oggi si è realizzato. Il format dell’incontro che si è tenuto oggi a Montecitorio, in occasione della Giornata mondiale per le persone diversamente abili, è stato di scambio e di domande sul modello del question time parlamentare. Una formula che ha permesso a noi ragazzi disabili di interagire in modo propositivo con le istituzioni, parlare ed essere ascoltati. La cosa davvero straordinaria è stato il confronto tra noi; diverse regioni, gradi e tipologia di disabilità riuniti sotto lo stesso tetto, quello dell’impegno e della rappresentanza. Certo l’emozione è stata forte ma la consapevolezza di essere lì a fare un pezzo di storia (la nostra storia!) ha superato l’imbarazzo di parlare in pubblico in diretta televisiva. La mia storia come quella di molti altri ragazzi sordi dalla nascita è quella “quasi” normale di qualsiasi altra persona. Ecco normalità: questa parola che molti usano banalmente tutti i giorni per noi è una dura conquista da sudare, nella scuola, nello sport, nella vita quotidiana e, quindi, raggiunta l’autonomia, siamo disposti a mettere a disposizione di altri la nostra esperienza. Ecco perché è indispensabile esserci oggi ma anche esserci tutti i giorni dentro le istituzioni e nelle associazioni. Le richieste che abbiamo sottoposto ai rappresentanti del Governo e ai presidenti delle Commissioni parlamentari presenti all’iniziativa sono chiare e semplici e possono riassumersi in una parola chiave che è “ascolto”. La scuola, gli enti locali devono ascoltare le nostre istanze, ma non per mero pietismo, ma per il convincimento non retorico del valore aggiunto che una persona disabile può essere nella scuola, nel lavoro, ovunque. Come fare questo passaggio culturale? Solo mettendo noi ragazzi, noi giovani disabili al centro di un progetto di comunicazione. Io mi alzo spesso la mattina e so che dovrò affrontare le mille insidie di una giornata nella quale incontrerò persone che nulla o poco sanno della mia disabilità, a partire dagli insegnanti e gli operatori che, a vario titolo, lavorano nella scuola per i quali noi tutti, che abbiamo fatto parte del progetto del Miur, il Ministero per l’istruzione, l’università e la ricerca, chiediamo formazione e informazione obbligatoria. La tecnologia è un altro punto sul quale abbiamo dibattuto molto; libri digitali, insonorizzazione delle aule ma anche stampa in braille e tante altre opportunità che la modernità ci offre. Ma se da una parte l’uso delle innovazioni è essenziale dall’altra non dovremmo mai perdere di vista la necessità di comprensione, umanità e sensibilità di chi opera nel mondo della disabilità. Mattia Liguori è nato e cresciuto a Perugia, 20 anni, studente e ragazzo sordo dalla nascita. Porta da sempre le protesi acustiche e grazie ad una riabilitazione logopedica ha acquisito il linguaggio orale. Grazie a questo percorso, e dopo aver superato molte difficoltà, è ben inserito nella società. Fa teatro e si dedica alle iniziative dell’associazione Fiadda Umbria onlus (sezione ragionale) che sostiene e accompagna le famiglie con persone sorde nel loro cammino. http://www.lauraboldrini.it/news/societa-e-diritti/la-normalita-che-noi-studenti-disabili-chiediamo-alle-istituzioni/#more-8877
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di Claudio Mariottini - Presidente F.I.A.D.D.A. Umbria Onlus Chi conosce il celebre scrittore siciliano Andrea Camilleri e il suo altrettanto famoso personaggio, il Commissario Montalbano, sa che uno degli episodi più letti porta il titolo di “La forma dell’acqua”; ”… l’acqua piglia la forma che gli dai…”, in pratica non ha una forma ma prende quella del recipiente dove la metti. Il pensiero sulla sordità, ed in particolare sulla sordità infantile, è un po’ come l’acqua di Montalbano, ognuno tenta di dargli una forma, spesso perseguendo basse convenienze personali e altre volte per assoluta ignoranza, ma tutti dimenticano un elemento importante e cioè che prima di essere un audioleso, un bambino sordo, è soprattutto… un bambino, ed è un bambino a cui debbono essere dati gli strumenti giusti per imparare a parlare. Invece c’è chi parla di sordità come status antropologico, e vede il sordo come facente parte di un gruppo sociale a parte, quasi come di una etnia. Un bambino sordo è un bambino con un importante deficit neurosensoriale... e basta! L’idea che ci siamo fatti noi genitori che abbiamo dato vita a F.I.A.D.D.A. Umbria (un’associazione di famiglie che si occupa di sordità) è soprattutto quella di riportare al centro il bambino. Ci siamo anche domandati come fare, e in che modo un bambino o un ragazzo realizzi a pieno il suo modo di essere, e la risposta è stata sempre la stessa “assieme agli altri, nel mondo di tutti”. Ci siamo dati una “mission” che è quella di aprire le porte della nostra solitudine e realizzare un progetto di solidarietà, una cosa non facile visti i tempi che corrono. Tutto questo si ottiene con un mix di tante situazioni che partono dalle più semplici, quelle di tutti i giorni, fino ad arrivare a quelle di più alto valore morale. 1. LA SCUOLA: lungi da noi pensare alla restaurazione di medievali scuole speciali (le scuole dei e per i sordi) dove confinare i ragazzi per gran parte della loro vita isolandoli dal mondo esterno; decisamente cose del passato 2. LA FAMIGLIA: qualunque fede religiosa si pratichi, da qualunque paese si provenga una cosa è certa, la famiglia è il centro vitale di ognuno di noi. Le famiglie devono essere messe nelle condizioni di supportare la crescita dei loro figli, disabili e non 3. LAVORO: i nostri figli cresceranno, ed è inutile illudersi, incontreranno le difficoltà di inserimento di tanti loro coetanei udenti, e forse anche qualcuna in più. Vanno rafforzati gli atti legislativi di tutela e vigilato che ciò che è già in vigore venga rispettato 4. I SUPPORTI TECNOLOGICI: è la sacrosanta verità “i nostri ragazzi sono come gli altri”, ma per sentire “come” gli altri, hanno bisogno di una protesi. Quindi perché non dare loro quello che di meglio offre la tecnologia? Troppo semplice direte, e infatti sono ancora in commercio vecchi fondi di magazzino, antiquati strumenti analogici distribuiti per una mera questione di risparmio; che poi, di fatto, si traduce in uno sperpero di denaro ancora maggiore. Ma tutto quanto detto fino ad ora NON VALE NULLA se non nasce una Cultura della potenzialità, una Cultura dell’investimento sulle qualità dei nostri figli sordi. Oggi, in fantomatici corsi Universitari o di formazione di operatori, o anche in studi di “prestigiosi” enti pubblici, non si fa altro che ribadire il concetto della “non cultura all’integrazione”. I genitori dipinti come sorta di orchi cattivi che si illudono di poter trasformare i loro figli in udenti. Mi vengono i brividi al pensare che queste persone sono alla guida dei nostri massimi sistemi educativi. Né io, né nessuno della F.I.A.D.D.A. potrà mai accettare una resa su questi concetti, magari arrivando a considerare il proprio figlio come appartenente ad una “razza diversa, con lingua e usi diversi”, come da molte parti si sente dire. Ci deve essere il massimo impegno di tutti per raggiungere pochi, ma essenziali obiettivi. Qua nessuno deve permettersi di dare a Davide , Francesco, Federico , Clelia, Lorenzo, Eleonora , Sara, Matilde , Stefany, Alessandro, Francesca, Martina , Mattia , Antonio, e tutti gli altri una “forma” diversa, perché sono bambini e non acqua. Tratto dalla rivista "L'Atipico", n. 67, anno XI, settembre/ottobre 2015. http://www.atipico-online.it/ |
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